Diverse ricerche psicologiche hanno dimostrato che le cause che possono portare all’insorgere di questo problema possono essere:
– eccesso di idealizzazione e aspettativa precedente all’entrata nel mondo del lavoro
– mansione lavorativa frustrante o inadeguata rispetto alle aspettative
– disorganizzazione del lavoro o comunque organizzazione non funzionale
I sintomi possono essere riassunti in tre macro categorie:
– comportamento che testimonia un importante disinvestimento sul lavoro
– eventi autodistruttivi (disturbi psicosomatici, distrazione e incapacità di concentrazione con aumento del numero di incidenti)
– eventi eterodistruttivi verso gli utenti (reazioni negative verso gli altri, indifferenza, aggressività, spersonalizzazione del rapporto).
Dall’analisi statistica dei dati è possibile dedurre una correlazione importante che deve far riflettere. Nei soggetti affetti da sindrome di burn-out, cresce l’uso e l’abuso di alcol, sostanze psicoattive e aumenta il numero di suicidi. Esistono alcuni fattori personologici che possono incidere sul verificarsi della sindrome:
Caratteristiche demografiche: l’incidenza del burn-out sembra maggiore nelle persone dai 30 ai 40 anni, non sposate e con livello culturale elevato. Tratti psicosomatici: i soggetti che affrontano le difficoltà in maniera passiva e con atteggiamenti difensivi sono più a rischio di sviluppare burn-out, così come quelli nel cui tratto caratteriale predomina ansia, ostilità, depressione, vulnerabilità, o che non mostrano apertura verso il cambiamento e che manifestano poco coinvolgimento nelle attività quotidiane e con scarso controllo sugli eventi. Attitudine verso il lavoro: le persone che lavorano molto e duramente, perché hanno grosse aspettative nella loro professione, sia per la possibilità di successo e di guadagno sia perché vogliono rendere il loro lavoro sempre entusiasmante e soddisfacente, sono più a rischio di burn-out quando non vedono realizzare i propri progetti.
Le fasi del burn-out possono essere riassunte in questo modo:
La prima, è quella dell’entusiasmo idealistico che spinge il soggetto a scegliere un lavoro di tipo assistenziale.
Nella seconda (stagnazione) il soggetto si sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi, inizia a rendersi conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà lavorativa. L’entusiasmo, l’interesse ed il senso di gratificazione legati alla professione iniziano a diminuire.
Nella terza fase (frustrazione) il soggetto affetto da burn-out avverte sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco apprezzato; spesso tende a mettere in atto comportamenti di fuga dall’ambiente lavorativo, ed eventualmente atteggiamenti aggressivi verso gli altri o verso se stesso.
Nel corso della quarta fase (apatia) l’interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono completamente e all’empatia subentra l’indifferenza, fino ad una vera e propria “morte professionale”.
Per misurare il burn-out ci sono diverse scale ma è da ricordare la scala di Maslach: un questionario di 22 items, ossia domande, atti a stabilire se nell’individuo sono attive dinamiche psicofisiche che rientrano nel burn-out. A ogni domanda il soggetto interessato deve rispondere inserendo un valore da 0 a 6 per indicare intensità e frequenza con cui si verificano le sensazioni descritte nella domanda stessa. Le scale che costituiscono questo questionario sono: esaurimento emotivo, che esamina la sensazione di essere inaridito emotivamente ed esaurito dal proprio lavoro; depersonalizzazione, che misura una risposta fredda ed impersonale nei confronti degli utenti del proprio servizio; realizzazione personale, che valuta la sensazione relativa alla propria competenza e al proprio desiderio di successo nel lavorare con gli altri. Resta comunque indispensabile per verificarne la gravità e la stadiazione, un colloquio con un’esperto della problematica che può essere uno psicologo del lavoro, un medico del lavoro o uno psichiatra esperto in problematiche del lavoro.
La consulenza specialistica è il primo passo verso la definizione del problema e la sua gestione.
Fonte: Tiscali News